domenica 5 maggio 2024

il canto balordo della vertigine

 


Il vapore del bagno caldo aveva eclissato, come un sipario che va celando la scena, il volto silente nello specchio.

Quella feroce sparizione aveva generato un grido, dal profondo ignoto.

Poco prima il viso rifletteva tutta la mia crudezza. Greve e pallida la carne, come posticcia sulla maschera Bauta, mi aveva ricordato le donne del secolo scorso. I loro segni, impavidi, esibivano la decadenza dei sogni frantumati. Guardandomi, ne ero terrorizzata!! Quegli scavi, sotto gli occhi tumidi, mi ricordavano fosse cimiteriali, pronte ad accogliere nella loro oscurità la vita che si era arresa.

Ero così attenta a cercare il segreto, intrappolata nelle pieghe di quei segni, da non accorgermi che lentamente venivo cancellata dal vapore.

La stanza da bagno mutava in claustrofobica sauna finlandese; ogni cosa assumeva il medesimo colore dell'evanescenza.

Il corpo si vanificava nel tepore grigio che affrettava la mia estinzione dal presente. Il calore nella stanza era così rovente che piangeva i suoi fumi. Ed io, senza più un volto riflesso, senza più un corpo definito, esistevo unicamente nella dimensione percettiva.

Le sensazioni stavano creando una me nuova. La cecità mi rivelava una vita oltre il conosciuto. Ero quasi felice, adesso, per non vivere nel visibile e mi muovevo in quel groviglio umido con la materia indistinguibile del corpo.

Avevo, finalmente, raggiunto la cascata dell'acqua che piombava dalla doccia. Calda, la sentivo spumeggiare sulle mani. Fui avida! Mi precipitai sotto quel getto così affettuoso, quasi che lo scrosciare dell'acqua sul corpo potesse ridarmi una forma riconoscibile.

L'acqua, benedizione estatica, mi dava sollievo! Era come approdare sulla terra ferma, dopo tanto mare aperto.

Ne fui sorpresa! Avevo davvero creduto che mi sarei perduta per sempre? Era, dunque, così facile smarrire la memoria di sé? Prima di tutto questo, chi ero? Cosa mi attendevo dal volto riflesso in quella superficie bagnata? Un impulso narciso, menzione del proprio fascino? O, forse, paura di essere quell'espressione di cruda verità?

In tali quesiti lasciavo che il bagno caldo scivolasse sulla pelle, che ridiveniva, in pochi attimi, consistente e rosea.

Finita la toletta, ancora incastrata nel torpore acquitrinoso di quel sogno, aprii decisa la stanza-sauna, liberando al di fuori piccoli banchi di fumo palpabili che si liquefacevano, poi, sulla vetrata della porta. Uscire da lì significava lasciare per sempre un'esperienza e decisi di farlo, senza udire i grappoli di pensieri che ponevano resistenza.

Lasciai definitivamente la stanza dei vapori per entrare nella realtà, riscaldata soltanto dall'accappatoio di spugna color lavanda.

Quell'eccesso di emozioni e radiose rivelazioni dell'animo mi permettevano, ora, di vagare scaltra nel perimetro luminoso del nostro appartamento. Inventavo balorde canzoni di sana pianta e danzavo sfrontata, frizzante di gioia, in un festoso e impudico abbandono di sensi, quando, nello svolazzo irrefrenabile, atterrai sul pavimento del cucinotto. Precipitai sulle trame rosse del tappeto persiano come cadendo da una giostra in corsa. Il tonfo, sonante, deciso, non impedì alla bambina dentro me di ridere dal profondo. Ero nuova!! Valeva, dunque, la pena celebrare!

Dalla piccola finestra della sala da pranzo, un occhio rettangolare sospeso al centro della parete, potevo mirare la distesa azzurra, puntinata di minuscole barchette, sbiadite dal sole infuocato delle tredici e trenta. Una lastra blu incisa, sul fondo lontano, da una linea orizzontale impeccabile, sopita nell'impalpabilità dell'orizzonte.

Come da bambina, anche adesso, contemplando il mare, vedevo guizzare sulla schiuma delle onde una sirena, la cui pinna, imperlata di scaglie dorate, schioppava fuor d'acqua e, subito al di sotto, elegante e lasciva si dileguava nei fondali abissinei.

Nuovamente mi sdoppiavo:

sul tappeto, gaia e luminosa, accettavo il destino umano; fra le onde, laggiù, ero invece donna pesce sprezzante, vittima di una possessione, liberata, forse, dal dogma terrestre.

Lentamente mi addormentai, dentro il labirinto damascato del tappeto, lunga e felice, senza saperlo.


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